Il discorso della montagna riportato agli uomini segna la traccia per entrare dentro un percorso di parole e storie che si interrogano sul tema della speranza, che la chiedono, che la cercano. Speranza legata agli affetti più cari, speranza davanti alla difficoltà del vivere, speranza dove non è possibile averne, speranza come augurio. Quattro momenti che mostrano volti e condizioni umane differenti per la loro storia ma legate da un discorso comune: le Beatitudini.
La prima parte, senz’altro la più intima, più affettiva e personale è dedicata alla famiglia dell’autrice, a quelli che lei stessa definisce “gli umili e i puri di cuore”, raccontata non più dalle parole ma soltanto da immagini, suoni e azioni evocative accompagnate da un “diario fotografico” proiettato sullo sfondo.
Il secondo quadro è dedicato a quelli che “piangono e che verranno consolati” ed è un piccolo frammento della vita di Mario Vatta, uno straordinario uomo di fede che negli anni ha sempre vissuto in mezzo alla strada, tra gli ultimi, riuscendo a costruire una delle più belle comunità d’accoglienza nella città di Trieste.
A condurci nel terzo quadro, è una sequenza fisica che porta un nuovo “discorso della montagna” agli uomini; questa volta più rabbioso, più concitato, più urgente: è la parte dedicata ai “non violenti”. F. è un ergastolano in carcere da 9 anni, rimasto latitante per 16, ex boss di mafia. La sua figura non si vede, è in controluce. Sul fondo una diapositiva disegna delle sbarre, mentre l’uomo parla. Parla di quello che vive ora dentro al carcere, parla del tempo, il tempo della condanna che per un ergastolano è la vita stessa; parla di una condizione in cui è impossibile avere Speranza. Eppure anche in quella condizione, esiste. La Speranza è quella di trovare qualcosa lì dentro, che ancora permetta di sentire quelle emozioni che parevano cancellate.
Così accade, durante queste parole, che un prisma davanti all’obbiettivo rompa l’immagine delle sbarre proiettando giochi di luce e un canto dolce ci faccia entrare nel quarto e ultimo quadro: “Quelli che hanno fame e sete di giustizia e i perseguitati a causa della giustizia”.
A chiudere questo percorso, è la figura di una donna distesa a terra. Le sue mani stringono una rosa sul petto. Le parole che utilizza sono parole di Speranza, di Libertà, di Verità che parlano ad altre donne, agli uomini e ai giovani, parole d’augurio, parole di una memoria concreta che guarda avanti. E su questo ultimo saluto, il disco comincia a girare proiettando vorticosamente la parola “Speranza” nello spazio.
di e con Aida Talliente
disegno luci Luigi Biondi
assistente al suono Alessandro Barbina
video animation Cosimo Miorelli
assistente al video e alle proiezioni Roger Foschia
elementi scenici Luigina Tusini
grafica per le proiezioni Giulia Spangaro e Virginia Di Lazzaro
grafica Massimo Staich
fotografia Matteo De Stefano
consulenza e realizzazione sonora di alcune parti Massimo Toniutti, Alberto Novello, Giorgio Pacorig
produzione Ariateatro, – CSS Teatro stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia
patrocinato da Centro d’Accoglienza E. Balducci